Appunti a margine di un incontro: Alda Merini. La mistica della carne

Nello e prof. Ascione (3)L’Istituto di Cultura Torquato Tasso di Sorrento, grazie alla squisita ospitalità dell’Hotel Continental, ha ospitato il filosofo don Antonio Ascione, docente della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione «S. Tommaso», che ha parlato di uno degli aspetti salienti di Alda Merini, mentre la sua poliedrica figura e attività è stata brevemente introdotta dal segretario dell’Istituto, il teologo Aniello Clemente che ha moderato la conferenza. Grazie a quanti hanno partecipato numerosi animando coi loro interventi la discussione. Come unire mistica e carne? Il prof. Ascione propone una sua riflessione. Mistica, come sprofondare nell’abisso del mistero assoluto avvertito come altro da sé, sopra di sé, davanti a sé, e contemporaneamente dentro di sé. È esperienza di lontananza e prossimità allo stesso tempo. Mistica è silenzio dell’umano abitato dal divino che vibra e risuona della sua presenza nella sua carne. Carne: quando io dico “corpo”, dico già un modo di comprendere me stesso. È la mia esteriorità che avverto sotto la luce della mia ragione, dice prima di tutto limite umano e tensione oltre il limite. Giustamente vedendoci associati, qualcuno potrebbe chiedere: perché un filosofo o un teologo si può (e si deve) occupare della poetica? Si occupi il primo dei suoi ragionamenti, delle sue analisi, che poi non ci interessano più di tanto così pure il teologo, si occupi delle cose di Dio, dei suoi dogmi e della sua morale e non ci venga a raccontare di un mondo ultraterreno, di un aldilà che dobbiamo saperci guadagnare già dall’aldiquà. Oltre al fatto che un filosofo o un teologo può anche essere poeta, ma pensiamo di far parte di quella schiera di filosofi e teologi che hanno il coraggio di trasgredire, di passare il confine del loro stesso territorio per andare in spazi alieni, inusitati. Non sono molti, ma vi sono filosofi e teologi che hanno attraversato questi spazi e in due direzioni: o perché abitati loro stessi dal fuoco poetico o perché hanno attraversano gli spazi poetici ricavandone tesori e ricchezze di immagini, metafore, sentimenti, affetti, altrimenti esclusi dalle parole asettiche dei loro ragionamenti. Ora, in Alda Merini, la parola poetica ha uno straordinario potere teologico, nel senso che è capace di dire poeticamente il mistero cristiano altrimenti non detto attraverso i concetti teologici. Il poeta è necessario secondo Heidegger in questo tempo perché è l’unico capace di trovare le “tracce degli déi fuggiti”. Il divino che ha deciso di lasciare l’umano perché non trova più accoglienza. Il poeta, con il sacro fuoco della sua parola è capace di “evocare” il divino. Egli è risonanza del divino con la sua poesia. È richiamo alla trascendenza. È supplica perché gli dei tornino…“Il cielo è la dimensione schiusa del nostro destino” diceva la poetessa dei navigli. C’è un cielo sopra di noi, e non cielo vuoto, ma un cielo abitato. Tutta la produzione poetica della Merini è attraversata dal desiderio di cielo. Già a cominciare dalla considerazione della sua vita segnata dalla crepa della follia fin dalla nascita: Sono nata il ventuno a primavera/ma non sapevo che nascere folle,/aprire le zolle/potesse scatenar tempesta. Alda Merini raffigurava poeticamente la sua nascita come un’aratura, qualcosa che si spacca, come la sua vita, nel momento dell’internamento manicomiale, che dura lunghi anni. Dalla crepe delle zolle aperte è fiorita una ricerca spirituale intensa. Mons. Ravasi evidenzia analogie tra la poesia della Merini e quella del Cantico dei Cantici, «diventata discepola», pronunzia nel suo poemetto una continua dichiarazione d’amore, trasparente e pura, «da vera innamorata» risalendo idealmente il fiume della letteratura mistica, capace di intrecciare eros e agape, carne e anima, desiderio e fede. Il suo è un abbraccio unico ed esclusivo dove viviamo solo io e te/in compagnia di un amore…mai bambina fu assetata di Dio più di me/…diventata il monile più bello dell’Amato. Nel varco tra mistica ed eros, la poesia della Merini assume, a volte, la forma di orazione, attraverso l’uso della seconda persona, con la quale si rivolge a Dio, come nei versi di Corpo d’amore, dove le parole dell’eros – “viscere”, “gemiti” – e quelle della mistica – “redenzione”, “costato” – si fondono a comporre la preghiera accorata di una innamorata: Se tu sapessi, Dio,/che per conoscere una donna/bisogna amarla,/bisogna entrare nelle sue viscere/e sentirne il calore dei suoi gemiti,/…e spiegami allora Gesù/perché non hai cacciato dal tuo costato/né gli amanti né i loro pensieri. Certo, l’amore non elide il dolore: Mi hai fatta soffrire,/talmente soffrire/che non potevo fare a meno di te. È quindi, una sofferenza feconda, quasi implorata: Io ti chiedo un dono,/adesso,/il dono di una lacrima/dicono che le sorgenti d’amore siano le lacrime. La sua poesia nasce dalle grandi ferite, come da stigmate segrete dell’anima, ma dalle quali passava il fuoco sacro della parola. La sua, comunque, è la parabola dell’esperienza di tutti i veri credenti, che sono amanti, perché «tutti gli innamorati sono in Cristo». Silvio Bordoni, un giornalista suo amico, la incontrò in ospedale pochi giorni prima della sua morte, e la vide accendersi una sigaretta. Le disse: “Signora Merini, non è il caso che lei fumi”. Alda Merini gli rispose: “Caro Bordoni, ormai mi rimane questa sigaretta e il primo bacio di Gesù”. Forse fu la sua ultima poesia.

Ascione Antonio – Aniello Clemente