Nei Vangeli vi sono due redazioni delle Beatitudini, Mt 5,1-11 e Lc 6,17,26. Matteo, che scrive per chi proviene dal giudaismo, presenta Gesù come il nuovo Mosè, come la vera guida del popolo, e quindi collega il discorso di Gesù sul monte, il nuovo Sinai. Gesù «si pose a sedere» è il “Maestro” che prende posto sulla cattedra. Luca, invece, che scrive per chi proviene dal paganesimo, delinea la cornice esteriore in domo diverso: Gesù sta in piedi che per Luca è espressione della maestà e autorità di Gesù, che parla in un luogo pianeggiante, espressione della vastità a cui Gesù manda la sua Parola. Le Beatitudini non ci presentano un ideale per pochi privilegiati, un’utopia irrealizzabile, una promessa valida esclusivamente dopo la morte, una consacrazione del dolore che induce passività e rassegnazione; non costituiscono neanche un discorso morale. Invece sono un annuncio “lieto”, un “vangelo”, una dichiarazione che il Regno di Dio è arrivato per tutti, ma i poveri e gli esclusi sono i privilegiati; è l’annuncio della gioia (beatitudine) di chi pone in Dio la sua fiducia, è una proposta di valori alternativi alla mentalità corrente. Le Beatitudini proclamate da Gesù sono “autobiografiche”, Gesù infatti è il vero povero, mite, puro di cuore, costruttore di pace, perseguitato per la giustizia. Beati quello che lo seguono[1]. Nel suo libro, Il Discorso della montagna (Mondadori) Martini affronta il Discorso per eccellenza, la grande didaché di Gesù, il suo nuovo paradossale, inaudito insegnamento, la trasmissione del mandatum che ha ricevuto dal Padre. Lo affronta come il caso-limite dell’intero Annuncio, la su parola più “dura” e insieme la “porta stretta” attraversando la quale soltanto “beatitudine” è possibile. È l’appello radicale alla conversio, al ritorno, all’obbedienza perfetta al Padre. È praticabile il discorso di Gesù? Possibile testimoniarlo nella prassi? Il Regno che Gesù annuncia sconvolge, rovescia tutte le opinioni e le tradizioni. Credevate che i beati fossero i forti, i potenti, i sazi; no, il Regno appartiene ai poveri, ai miti, agli assetati. Vi è stato detto di non uccidere, di non spergiurare, di amare il prossimo. E certo io non muto uno iota in tutto ciò. Ma ancora non basta. Martini coglie quasi, direi, con angoscia il momento più alto del discorso di Gesù in quel passo. «Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico: non opponetevi al male». Di fronte questo caso estremo Martini diviene davvero “agonista” con Gesù, lo interroga direttamente, si rivolge a lui con il Tu, il suo commento si trasforma in un dialogo serrato. Ma non ci hai detto proprio Tu di resistere al malvagio? E quando cacciavi i mercanti del tempio? Il supremo scandalo di non opporsi al male era il segno della suprema bontà di Gesù anche per Nietzsche: non è possibile contrapporsi al male senza usare anche le sue armi; ma la bontà, invece, la perfetta bontà, può essere pensata soltanto come uno sterminato oceano che accoglie, abbraccia, risolve in sé tutti i fiumi immondi della storia, che “porta” in sé i peccati del tempo. L’oceano non fa diga, vince la loro violenza “semplicemente” lasciando che essi la esauriscano nel suo seno. Gesù “provoca” tutti i figli ad essere uno con lui e con lui nel Padre. Ut unum sint. Ma essere Unum col Figlio e col Padre può significare soltanto “indiarsi”, essere Dio! È l’Impossibile, o l’estremo limite del Possibile. Non possiamo affermare questo Discorso semplicemente come l’Impraticabile, poiché Gesù lo ha praticato. Ed era vero uomo. Questa estrema misura del Possibile si è incarnata. Ed esige di essere posta come Fine[2]. Santa Domenica, Aniello Clemente.
[1] Cf. G. Greco, in la Domenica, Epifania del Signore – 1, 6 gennaio 2017.
[2] M. Cacciari, Cultura: Anche tu sei Gesù, in L’espresso, 2 novembre 2006, 201-202.